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Qumran

Ultimo Aggiornamento: 08/07/2008 18:30
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08/07/2008 06:59

Presso l’angolo nord ovest del Mar Morto, l’altipiano del deserto di Giuda precipita a strapiombo per circa 350 metri sotto il livello del Mediterraneo; la parete rocciosa, di colore rossastro, è perforata da numerose caverne naturali. Era nota da tempo l’esistenza in quel luogo di rovine, dette appunto “Rovine di Qumràn” (Khirbet Qumràn); ma si ignorava quale tesoro archeologico potessero nascondere.

Nel 1947 un giovane pastore che si trovava in quei luoghi, Muhammad ed Di’ib (= il Lupo), gettò per caso un sasso nell’apertura di una roccia, e ne udì risuonare il rumore di cocci infranti; ritornato sul posto il giorno dopo, spinto dalla curiosità, si introdusse assieme ad un cugino nell’anfratto e trovò all’interno della caverna diverse giare, una delle quali conteneva dei rotoli di cuoio manoscritto.

Giare ritrovate a Qumràn
I rotoli, invece di essere consegnati alle autorità, vennero portati ad un antiquario di Betlemme, Khalil Iskandar Shahin; egli, che credette di riconoscere su di essi una scrittura siriaca, ne vendette una parte al metropolita Athanasius Yeshua Samuel del monastero siro di S. Marco di Gerusalemme, e una parte al prof. Eleazar Sukenik dell’Università Ebraica di Gerusalemme. Quando quest’ultimo comprese quello che aveva di fronte, cercò di acquistare anche la parte in possesso del metropolita, che però si rifiutò di vendere i suoi manoscritti; si rese conto del loro valore dopo averli fatti esaminare da due membri della American School of Oriental Research di Gerusalemme, William Brownlee e John Trever, i quali poterono anche scattare le prime fotografie. Nel frattempo, non mancarono le incursioni notturne nella grotta per cercare altro materiale, ed il clima politico del neonato stato di Israele complicava ogni trattativa; i rotoli erano divenuti una sorta di materiale di contrabbando.

Il primo comunicato pubblico che attestava il ritrovamento risale all’11 aprile 1948, apparso il giorno dopo sul Times di Londra, nel quale si parlava del rinvenimento di un rotolo di Isaia (poi identificato con la sigla 1QIsaa , del 125-100 a.C.), di un Manuale di Disciplina di una comunità ignota, forse di Esseni (quello che oggi è chiamato Regola della Comunità, 1QS del 100-75 a.C.), di un commento al profeta Abacuc (1QpAbac, metà del I sec. a.C.), e di un codice non ancora identificato perché in pessimo stato di conservazione (identificato poi nell’Apocrifo della Genesi, 1QgenAp, I sec. a.C.- inizio I sec. d.C.).

Il rotolo di Isaia, lungo più di sette metri, è di oltre mille anni antecedente al manoscritto più antico fino ad allora conosciuto; il mondo era venuto così a conoscenza di quella che è stata definita come la “scoperta archeologica del secolo”. Si trattava di testi probabilmente nascosti nelle grotte della comunità degli Esseni prima dell'invasione romana del 70, poi mai più riportati alla luce.

La pubblicazione dei tre codici leggibili di proprietà del metropolita avvenne tra il 1950 e il 1951, a cura dell’American School1. Nel 1954 uscì postuma la pubblicazione dei testi nelle mani del prof. Sukenik2. Nel frattempo, a causa della difficile situazione palestinese (era stato appena proclamato lo Stato di Israele ed era terminato il protettorato britannico), il metropolita si era recato in America con i suoi manoscritti, cercando di rivenderli: arrivò persino a offrire i rotoli tramite un’inserzione su un numero dello Wall Street Journal (1 giugno 1954). Yigael Yadin, figlio di Sukenik, tramite alcuni mediatori acquistò i rotoli per conto del neonato Stato di Israele, che era già entrato in possesso degli altri; essi così furono tutti depositati al museo di Gerusalemme, conosciuto come Museo Rockefeller, ove tuttora si trovano. Yadin pubblicò nel 1956 il rotolo danneggiato dell’Apocrifo della Genesi3.

Conclusasi la guerra arabo-ebraica con l’istituzione in Palestina dei due stati di Giordania e Israele, il territorio di Qumràn era venuto a cadere nello stato giordano; nel gennaio 1949, quando la situazione politica permise di riprendere le ricerche , venne ritrovata la grotta scoperta dai pastori (da allora identificata come 1Q). Il Department of Antiquities of Jordan tramite l’ispettore generale G. Lankester Harding, e l’École Biblique et Archéologique Française di Gerusalemme (che allora si trovava nella parte giordana di Gerusalemme) tramite il suo direttore, il domenicano padre Roland Guérin de Vaux, si preoccuparono di effettuare la prima esplorazione sistematica della grotta (dal 15 febbraio al 5 marzo 1949); furono asportate giare, vasi, manufatti, stoffe e frammenti, pubblicati a cura del padre J. D. Barthélemy e di padre J. T. Milik in quello che sarebbe stato il primo volume della collana Discoveries in the Judaean Desert che la Oxford University Press dedicò ai manoscritti4.

I due beduini che per primi identificarono le grotte. Vi fu una sorta di corsa al rotolo tra i beduini e gli archeologi
Nel 1951, mentre de Vaux e Harding conducevano un nuovo scavo sistematico del sito di Qumràn, alcuni beduini della tribù Ta‘âmirah, che avevano compreso che era possibile ricavare qualche guadagno dalla vendita di reperti archeologici, scoprirono un altro lotto di oggetti provenienti da Wâdi Murabba‘ât, a 25 km a sud di Gerusalemme, alcuni pertinenti al periodo della seconda rivolta giudaica (132-135 d.C.). Gli stessi beduini nel febbraio del 1952 trovarono un’altra grotta a Qumràn, con altri frammenti manoscritti (fu chiamata allora 2Q, e conteneva oltre a testi piuttosto frammentari biblici ed apocrifi, un interessante frammento ebraico del Siracide (2Q18= 2QSir). Iniziò così una sorta di “corsa al rotolo”. A marzo gli archeologi trovarono la grotta 3, con 14 manoscritti e due rotoli di rame incisi a caratteri ebraici (3Q15), una lista di tesori sepolti. I beduini da parte loro scoprirono la cosiddetta grotta 4, con innumerevoli frammenti, quelli che daranno più problemi nella pubblicazione; il giorno successivo arrivarono sul posto il de Vaux e Milik per raccogliere e catalogare il materiale che i beduini non avevano toccato, ed il resto dovette essere recuperato più avanti. Gli archeologi rinvennero poco più in là un’altra grotta (5Q) con alcuni manoscritti tra i quali ricordo una descrizione della Nuova Gerusalemme (5Q15 = 5QJN ar), i frammenti della Regola della comunità e del Documento di Damasco. I beduini, da parte loro, riportarono alla luce la cosiddetta grotta 6Q con frammenti di testi biblici e apocrifi, tra cui meritano menzione quelli del libro enochico dei Giganti (6QEnGiants = pap6Q8) e il Documento di Damasco (6Q15), l’Allegoria della vigna (6Q11) ed un calendario (6Q17). Al 1952 risale anche la scoperta dei manoscritti del monastero bizantino di Khirbet Mird. Più avanti saranno compiuti altri ritrovamenti nelle valli tra En-gedi e Masada, e a Masada stessa

Nel frattempo, i frammenti della grotta 4Q, già rivenduti dai beduini, dovettero essere riacquistati: concorsero alla spesa lo Stato di Giordania, l’università McGill di Montreal, le università di Manchester e di Heideberg, il Mc Cormick Seminary di Chicago e la Biblioteca Apostolica Vaticana. Eccetto qualche frammento, caduto nelle mani dei privati, tutto confluì nel Museo di Gerusalemme assieme al materiale già collezionato. Lì venne allestita una vasta sala dedicata alla conservazione e allo studio dei testi, chiamata poi scrollery (dall’inglese scroll, rotolo).

Nel 1955 vennero ritrovate dagli archeologi le grotte da 7 a 10; la settima conteneva alcuni frammenti di papiri greci, tra cui un frammento dell’Esodo 28, 4-7 (7Q1) e della Lettera di Geremia 143 (7Q2). La grotta 8 conteneva pochi frammenti, la nona grotta un solo frammento di papiro, la decima un coccio iscritto; nel 1956 i beduini da parte loro trovarono la grotta 11Q, ricca di manoscritti ben conservati, sul genere di quelli di 1Q. In essa, tra l’altro, il manoscritto paleo-ebraico del Levitico (11QpaleoLev), i rotoli dei Salmi e dei Salmi apocrifi (11QPsa; 11QPsApa), il Targum di Giobbe (11QTgJob), un antico esempio di targum (11QMelch), (11Q ShirSabb) e infine il Rotolo del Tempio (11QT). Gli scavi terminarono nel 1958: 800 circa sarebbero stati i manoscritti, di cui ci restano almeno 15.000 frammenti. Circa 225 manoscritti contengono testi biblici, mentre circa 300, per il loro pessimo stato di conservazione, con frammenti minutissimi, sono praticamente inservibili. Di qui cominciava il duro lavoro della ricomposizione e della interpretazione.


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08/07/2008 18:30

I manoscritti più importanti sono:

1QIsa - questo testo, datato paleograficamente al 125 – 100 a.C. e con il radiocarbonio al 202 – 107 a.C., contiene tutti i 66 capitoli del libro di Isaia; è scritto su 54 colonne di varia larghezza, su 17 pezzi di pelle di pecora cuciti insieme a formare un rotolo di 7,35 m di lunghezza per 30 cm di altezza. Questo rotolo rende testimonianza della fedeltà con cui il libro di Isaia è stato copiato nei secoli dagli scribi ebrei, poiché 1QIsa è sostanzialmente identico al testo masoretico, di mille anni posteriore.

1QS - Il serek hayyahad, più comunemente chiamato "Regola della comunità" o "Il Manuale di disciplina", datato al 100 – 75 a.C.. Questa è la copia di un regolamento comunitario scritto in calligrafia asmonea e contiene undici colonne di uno scritto settario ebraico. Il Manuale di disciplina ha un'introduzione che fissa lo scopo e il fine della comunità insediata a Qumran, descrive poi il rito d'ingresso nell'alleanza della comunità, i principi teologici settari, come ad esempio la dottrina dei due spiriti, il codice penale, il testo di un inno di lode al Creatore. Il testo è chiaramente composito ed ha subito revisioni a varie riprese, riscontrabili nei diversi livelli di composizione.

1QM - Il milhamah, anche detto "Regola della guerra", scritto in calligrafia erodiana. Composto verso la fine del I secolo a.C., è un libro di istruzioni per una guerra escatologica di quarant’anni che la comunità di Qumran, chiamata "i figli della luce", pensava di intraprendere insieme a Dio e ai suoi angeli, contro i suoi nemici, "i figli delle tenebre", alla fine dei tempi. Inizia con una generica descrizione della guerra a venire, il massacro finale e la distruzione dei figli delle tenebre. Più in dettaglio detta regole circa le trombe, gli stendardi e gli scudi da usare nella lotta e descrive l'ordine di battaglia della fanteria e le sue armi.

1QH - Gli hodayot, ossia gli "Inni di ringraziamento", così chiamati perché molti degli inni iniziano con le parole odeka adonay, "ti ringrazio o Signore". Questa copia è scritta in calligrafia erodiana, datata paleograficamente al 50 a.C. – 68 d.C., e raccoglie almeno 25 salmi o inni rassomiglianti ai salmi canonici, che tendono ad imitare.

3Q15 - Il rotolo di rame. Nella grotta 3 sono state trovate due sezioni di un testo inciso su una piastra di rame, datato verso il 100 d.C. È l'unico documento scritto su un materiale diverso dal cuoio o dal papiro. Quando è stato trovato, il rotolo era talmente ossidato che è stato impossibile srotolarlo; per poterne leggere il contenuto è stato necessario tagliarlo in strisce verticali. Negli studi qumranici questo testo rappresenta una specie di enigma, perché nessuno sa che cosa rappresenti o che cosa l'autore volesse dire. Il contenuto è formato da dodici colonne di testo che elencano una lista di sessantaquattro località della Palestina in cui si ritiene che siano nascosti dei tesori in metallo e altri materiali preziosi. Il prof. J.M. Allegro, credendo che la lista parlasse di un reale tesoro sepolto, diresse una campagna di scavi nel 1962 in alcuni dei siti facilmente identificabili nel testo, ma non trovò nulla.

7Q5 - Frammenti attribuiti nel 1972 dal Gesuita spagnolo Padre J. O’Callaghan con un passo del Vangelo di Marco, precisamente Mc 6:52-53. Questa attribuzione è controversa in quanto non è condivisa dalla maggioranza degli studiosi. In particolare, Ernest Muro sostiene che tale frammento si riferisce al cap. 103 del Libro di Enoch.

11QMelch/11Q13 - Rinvenuto nella grotta 11 è stato datato paleograficamente tra la fine del I sec. a.C. e l’inizio del II secolo a.C. Esso è composto di tredici frammenti dai quali si sono ricavate due colonne. La colonna 2 è preservata molto bene, la colonna 3 è ricostruita solo con alcune parole. Può essere riguardato come una sorta di targum, una parafrasi dei passi biblici che serve a spiegare e a interpretare i brani delle sacre scritture. Ed in particolare della figura di Melchisedec, figura biblica qui identificata come una creatura celeste ed un Messia. La traduzione in italiano è stata effettuata da Corrado Martone.

11QTemple/11Q19 - Il rotolo del tempio, datato con il radiocarbonio al 97 a.C. – 1 d.C., è un testo ebraico più lungo del libro di Isaia, conservato in 66 colonne e scritto in calligrafia erodiana. Questo testo sembra aver rappresentato, per la comunità di Qumran, una seconda Torah: esso non solo cita molte norme del Pentateuco, ma spesso le affina e le riformula in modo da renderle più stringenti e rigorose. Le sue esigenze di purificazione cultuale, in particolare, sono molto rigide. L'inizio frammentario del rotolo contiene alcune parole che richiamano la seconda alleanza stipulata sul monte Sinai (Es 34). Segue una lunga sezione che riguarda il tempio, con le relative feste e i sacrifici. Il tempio che viene descritto qui, non corrisponde a nessuno dei santuari storici d'Israele: era pensato come modello di un nuovo tempio che si sarebbe costruito in futuro, quando i giusti sarebbero riusciti a prevalere. Secondo un elenco steso dallo studioso J. H. Charlesworth è uno dei 30 manoscritti del Mar Morto non biblici che contengono il Tetragramma biblico.

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